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  • Cultura pedagogica

Il potere dei racconti

Il ruolo che fiabe, favole e racconti assumono nello sviluppo cognitivo del bambino è largamente riconosciuto sia dai professionisti dell’educazione che dalla cultura dell’infanzia condivisa dalle famiglie e dalla comunità allargata. Proprio per questo i più disparati prodotti narrativi vengono quotidianamente utilizzati da genitori, educatori e insegnanti nella relazione con i bambini.

Vediamo come è possibile nutrire proficuamente questo potere, al nido e a casa.

L’importanza del pensiero narrativo

Ascoltare storie aiuta il bambino a sviluppare il “pensiero narrativo”, quel tipo di pensiero che consente di spiegare i fatti, di interpretare ciò che accade e di attribuire significato alle proprie esperienze, attraverso i rapporti di causa-effetto, di ricorrenza di ruoli chiave, di collegamenti spaziotemporali, di componenti emotivi (Bruner, 1986, 1990, 2002). Attraverso il pensiero narrativo, possiamo collocare una certa esperienza all’interno di un contesto spazio-temporale e individuare, a posteriori, intenzioni, azioni ed effetti di determinati eventi.

Più un bambino avrà la possibilità di crescere in contesti caratterizzati da una buona narratività, maggiori saranno le possibilità di sviluppare il suo pensiero narrativo.

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Educare al racconto

Ecco allora l’importanza di educare i bambini al racconto, che non significa solo raccontare e leggere loro delle storie, ma anche, per esempio, raccontare loro i piccoli eventi della vita quotidiana: cosa hanno fatto al lavoro la mamma e il papà? Come si sentono rispetto a un evento accaduto? Cos’è successo quella volta che i nonni sono venuti a trovarci? In questo modo, i bambini possono entrare in contatto e prendere confidenza con il meccanismo narrativo e, di conseguenza, interiorizzarlo e farlo proprio. Un farlo proprio che se da un lato trova nella fruizione la possibilità di uno stimolo, dall’altro richiede che essa sia accompagnata dall’esercizio.

Alla luce di ciò, si aggiunge un secondo passaggio, che consiste nell’abituare i bambini a rielaborare in forma narrativa i contenuti di cui fruiscono, sia oralmente sia attraverso altre fonti. Ciò non va inteso solo come un compito “didattico” (a questo ci pensano educatori e insegnanti), ma anche e soprattutto in famiglia, come l’abitudine di far seguire a un’esperienza nuova del bambino, come ad esempio la visione di un cartone animato, la prassi di ripercorrere con la narrazione ciò che si è visto, in modo da attribuire significati e senso.

Lo stimolo al pensiero critico

Questo processo di attribuzione di significati, di traduzione dei codici comunicativi e dei diversi linguaggi di cui il bambino o la bambina fruisce è il processo di costruzione del pensiero critico. Per stimolarlo, è utile porre delle domande, dimostrarsi curiosi e interessati a conoscere cosa ha compreso dell’esperienza, chiedergli di “raccontarci” ciò che ha visto, accompagnare senza sostituirsi.

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Nella nostra epoca, quella degli schermi digitali, il racconto assume forme nuove, ma la paura di un’esposizione eccessiva fa spesso sì che i nuovi formati diventino oggetto di controllo piuttosto che di confronto. Prendiamo di nuovo ad esempio i cartoni animati: quando il bambino o la bambina chiede di vederli, il genitore, giustamente, si preoccupa di stabilire un tempo di fruizione, intervenendo sulla regolazione. Fermandosi qui però, perde l’opportunità di accompagnare in questa esperienza, che rischia di restare sul piano della fruizione, seppur regolata, passiva.

Invece, così come avviene davanti a un libro, in cui il lettore assume un ruolo attivo e attivante nei confronti del bambino o della bambina che ascolta, anche davanti al cartone animato, film, o video

trovato assieme su YouTube, è utile che l’adulto incoraggi a riflettere e rielaborare con domande e interventi del tutto simili: “Guarda! Hai visto?”, “Cos’è quello?” “Cosa sta succedendo?”, “È un…”, “Sì, bravo, brava!”, “No, non è andata così, prova a pensaci bene”.

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Il valore dello storytelling

L’ultimo step è quello di usare il racconto in una logica produttiva. Entriamo così nell’ambito dello storytelling, ossia, la capacità di narrare unita a quella di saper comunicare la storia che si è scelto di narrare. Il termine storytelling oggi ha un forte richiamo al mondo della comunicazione e del marketing, ma se lo riconduciamo alla naturale predisposizione della mente umana a generare e consumare racconti, possiamo facilmente ritrovarne il valore anche in ambito educativo e didattico. Innanzitutto, creare “la propria storia” è un processo gratificante, che mette il soggetto in una situazione di protagonismo attivo.

Dopodiché, costruire storie contribuisce a sviluppare la creatività e le capacità espressive, le competenze linguistiche, la capacità di sintesi, le capacità interpretative e di astrazione, le abilità comunicative e sociali (lo storytelling prevede che una storia sia costruita anche per essere comunicata agli altri e possa generare confronto e dialogo). Può essere un’attività molto motivante che può assumere anche la forma del racconto collettivo, favorendo esperienze di collaborazione e co-costruzione. A tal proposito, è interessante l’esperienza dei bambini e dei genitori dell’asilo di Roncafort che abbiamo raccontato nell’articolo La scatola azzurra: giochi, racconti, relazioni.

Conclusioni

Per orientare la modalità con cui l’adulto accompagna il bambino o la bambina nel processo di educazione al racconto, è utile quindi tenere a mente tre dimensioni:

 

  1. Alternanza, intesa come l’attenzione a diversificare la fruizione per entrare in contatto con linguaggi e codici diversi, per promuovere la capacità di decodificare e interpretare del bambino e della bambina e lo sviluppo della loro curiosità.
  2. Accompagnamento, cioè l’attenzione a rendere ogni esperienza di fruizione un’occasione di confronto e dialogo; condividere i loro consumi, interessarsi al loro punto di vista, porre loro domande e invitarli a ricostruire il racconto e attribuirgli significato.
  3. Autoregolazione, ossia l’attenzione, in fase produttiva, a promuovere la consapevolezza della necessità di mantenere la struttura narrativa dei racconti, che prevede sempre un inizio, uno svolgimento e una conclusione (Tisseron, 2016).

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