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  • Cultura pedagogica

Il conflitto come opportunità di crescita

C’era una volta un giovane che era solito provocare conflitti. Volendo migliorarsi, chiese aiuto al padre che gli consegnò una tavoletta di legno: “Su questa tavoletta pianterai un chiodo per ogni rissa, discussione o conflitto provocati”. Dopo un mese, la tavoletta era piena di chiodi. Allora il padre gli diede una seconda indicazione: “Ogni volta che eviterai o risolverai un conflitto potrai togliere un chiodo”. Con esercizio e buona volontà, dopo un mese i chiodi nella tavoletta rimasero pochi. Allora il padre invitò il figlio a guardare con attenzione: la tavoletta era piena di buchi! Ogni nostra azione o parola lascia nell’altro un segno indelebile.

Questa storia, presa dal libro “Educare con senso e senza disSenso” di Maria Martello, apre alcune domande: è sempre negativo questo segno? O può diventare un utile dono che contribuisce ad ampliare esperienze e conoscenze?

Two little boys not wishing to give way to each other on playgro

Vivere il conflitto per evolvere

Il tema del conflitto è attualissimo e intramontabile, uno dei tanti nodi problematici che appartengono a ogni cultura e a tutti i tempi, argomento che di solito si cerca di evitare perché generatore di ansie. Le prime parole che si associano al conflitto sono termini come scontro, guerra, lotta, urto, violenza, sopruso. La convinzione comune e l’interpretazione più naturale è di guardare al conflitto come a qualcosa di negativo, da evitare, un ostacolo che si frappone tra sé e la propria tranquillità. Nessuno, a primo impatto, considera il conflitto come opportunità di crescita. Si rimane ancorati all’ingenua supposizione che se l’altro non creasse problemi, tutto procederebbe bene. Spesso si è come la colomba di Kant, convinta che in mancanza della resistenza dell’aria potrebbe volare molto meglio. In verità, è proprio quella resistenza che consente al suo batter d’ali di trasformarsi in volo.

 

Allo stesso modo, il conflitto permette a ciascuno di sviluppare le proprie capacità per esprimere e far emergere le proprie risorse individuali ed evolvere. Ma perché questo avvenga è fondamentale vivere il conflitto e non esserne vissuti. Occorre liberarsi della paura che porta con sé e coglierlo come mezzo per definirsi rispetto all’altro e al mondo, per riconoscere e rispettare l’altro e il mondo. Inteso in questo senso, il conflitto può offrire opportunità di incontro e crescita, per conoscere meglio i complessi e fondamentali meccanismi della relazione e le sue infinite potenzialità. Del resto, quando i rapporti si approfondiscono, inevitabilmente sorgono conflitti, ed essendo la relazione pane quotidiano di ogni essere umano, il conflitto è fenomeno naturale e dialettico in grado di trasformare, in modo distruttivo quanto costruttivo, eventi, rapporti e persone.

La complessità delle relazioni al nido

Il nido, come ogni servizio educativo rivolto alla persona, è un ecosistema tra i più variegati e complessi, un vivaio di relazioni intrecciate a vari livelli, orizzontalmente e verticalmente: un sistema dinamico in cui interagiscono e si definiscono reciprocamente bambini, genitori, educatori, personale ausiliario, amministratori… La conflittualità è presente anche qui, in ogni relazione, generata di volta in volta da incomprensioni, pregiudizi, errori di valutazione, mancanza di collaborazione, rivalità, sensi di colpa, inesperienza, protagonismi.

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Gli adulti sono spesso portati a vivere il proprio ruolo come un guscio rigido, protettivo, entro il quale nascondersi; nel conflitto tendono a cogliersi vittime di eventi su cui non hanno alcuna influenza. Non sono io ad essere sbagliato ma l’altro: ciascuno preserva così la propria immagine, innescando un circolo vizioso e pericoloso. Prendono avvio lamentele e polemiche che non aiutano a comprendere ma semplicemente allontanano le persone e le spingono alla ricerca di qualcuno che supporti le proprie ragioni come corrette. Spesso ciò che è “giusto” si riduce al proprio personale punto di vista, a cui viene attribuito, erroneamente, valore generale.

Tra adulti capita di giocare al tiro alla fune. Ma nel tirare ciascuno dalla propria parte non ci si accorge di allontanarsi: ci sono un io ed un tu, siamo diversi. Ciò accade a livello interpersonale, tra gruppi e organizzazioni, fino ad arrivare alle relazioni tra nazioni. Si tracciano rassicuranti linee di confine e si mette la negatività fuori, dall’altra parte della linea. La diversità in questo modo diventa diffidenza, una minaccia che ci tiene all’erta e sulla difensiva.

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Attendere e partire da sé

Che fare allora? Come possiamo trasformare la chiusura in apertura ed essere realmente propositivi e risolutivi? Per uscire dal guscio in cui comodamente stiamo e in cui ci rifugiamo di fronte a situazioni conflittuali, ci sono strumenti e strategie da applicare?

È chiaro che nessuno dispone di bacchette magiche o ricette miracolose. Nessun adulto è un supereroe, ma qualcosa è in grado di fare. Ciascuno di noi può imparare l’arte di saper attendere, concedendo all’altro il tempo e il modo di mettere in campo le soluzioni più adeguate, avendo fiducia che queste soluzioni arriveranno e saranno più durature se non calate e imposte dall’alto. Possiamo imparare a metterci in gioco come persone, nella consapevolezza di essere portatori di pregi e limiti che vanno riconosciuti e tenuti d’occhio.

 

Infine, è possibile imparare ad affrontare le situazioni con adeguato senso di realismo, vedendo le cose per come sono e non per come si vorrebbe fossero. Nel conflitto è fondamentale includere anche se stessi, così da far rientrare possibili soluzioni ai problemi anche sotto la propria influenza. Partire da sé e scegliere consapevolmente un modo di vedere diverso, un cambiamento di prospettiva dall’esterno all’interno, da vittima a responsabile. Occorre osservare le proprie convinzioni senza dar per scontato il proprio modo di pensare. Cambiare i propri pensieri viene prima del cambiare i propri comportamenti. Certamente è faticoso. Gli occhiali mentali attraverso cui guardiamo e filtriamo l’altro sono il risultato di anni di esperienze, apprendimenti, influenze familiari e ambientali. È però fondamentale essere consapevoli che il proprio modo di vedere la relazione con l’altro è solo uno dei tanti modi possibili, una delle tante interpretazioni personali.

Capire sé stessi

Gandhi sosteneva che “bisogna combattere l’antagonismo, non l’antagonista”. L’antagonista è l’altra persona, è qualcosa di esterno e può assumere diverse forme perché possiamo avere conflitti con chiunque. L’antagonismo invece è qualcosa che riguarda noi e il nostro atteggiamento verso l’altro. Il conflitto ci mostra quindi che c’è qualcosa da capire su noi stessi e ci insegna ciò che non troviamo sui libri. È una lezione che va sperimentata in prima persona per essere veramente appresa. L’incontro con l’altro porta con sé sempre infinite incognite; spetta a ciascuno di noi “trovare o perdere sé stessi nell’altro”.

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